Regia: Ermanno Olmi (1962)
Fotografia: Lamberto Caimi
Milano negli anni '60. La nostra storia inizia di notte. Osserviamo delle persone che entrano in un edificio illuminato vivacemente. Sono silenziose; nessuna musica offre un indizio su dove stiano andando o cosa stiano per fare o quale sia l'umore. Ma sembra che qualunque cosa stia per accadere sarà significativa, forse triste.
Tutti si stanno dirigendo verso una grande stanza, dove alcune persone sono già sedute. I titoli di apertura compaiono su questa sequenza.
Uomini e donne si siedono intorno a piccoli tavoli rotondi sparsi lungo il perimetro della stanza. Non parlano. Siedono e aspettano.
Un uomo entra portando una scatola. Un altro sparge della polvere sul pavimento. Altri due uomini entrano e vanno al piano. Uno toglie la copertura; l'altro spacchetta una fisarmonica. Gli uomini e le donne nella stanza siedono in silenzio e aspettano. Tutto è tranquillo...
Mentre uno dei due uomini indossa la sua fisarmonica, l’altro inizia a suonare il piano. La pista da ballo è vuota.
Senza parlare, due signore si alzano e cominciano a danzare sulla musica lenta e cadenzata. Gradualmente, altre coppie si alzano e si muovono lentamente, con dignità, sulla dolce cadenza della musica. Seduti ai tavolini ai margini della pista da ballo, altri osservano e conversano silenziosamente.
Entra una nuova coppia. Si muovono con disinvoltura, senza parlare, si dirigono verso uno dei tavoli. L'uomo si toglie la giacca e la sciarpa e li mette su una sedia.
Sono Liliana (Anna Canzi) e Giovanni (Carlo Cabrini). Sono seduti, non parlano. Liliana ha ancora il suo soprabito addosso.
Proprio come hanno fatto gli altri uomini, Giovanni si alza e guarda la sua compagna, invitandola senza parole a ballare. Lei alza lo sguardo, ma non si muove. "E allora?" dice. Lei ancora non risponde né si muove.
Così lui si risiede. Lei ha le mani sulla borsetta in grembo, ha un aspetto triste o forse solo assente.
La scena successiva si apre con un bagliore di luce. Giovanni sta guardando in basso, concentrato. Quando un altro operaio lo chiama con un fischio, i due comunicano a gesti. Vediamo che sono in una fabbrica.
Convocato dal capo, Giovanni sale una scala a pioli per lasciare il suo spazio di lavoro, in sottofondo c’è ancora la musica della sala da ballo. Nell'inquadratura successiva, abbiamo una veduta più generale dell’impianto. Giovanni vine fuori da un portello.
Lo seguiamo mentre cammina attraverso l’impianto. È spazioso: l'attrezzatura è strutturata in forme geometriche, e la luce entra attraverso le finestre grigliate, con i bagliori intermittenti delle saldatrici. È bellissimo.
Mentre si avvicina alla finestra di un ufficio, Giovanni si toglie il cappello e gli occhiali protettivi, che teneva sopra la testa. Attraverso il vetro, vediamo due uomini in giacca e cravatta. Dietro di loro ci sono file di cartellini. Uno degli uomini si toglie gli occhiali quando vede avvicinarsi Giovanni.
La musica continua a suonare e siamo di nuovo alla sala da ballo. Liliana ha ancora un'espressione vacua. Chiude gli occhi.
Alla fine sembra raccogliere un po’ di energia. Chiama il cameriere per nome – "Carletto!" – e gli chiede un bicchiere d'acqua, che lui le porta immediatamente.
Giovanni allora si alza, attraversa la pista da ballo e invita qualcun’altra a ballare.
Un uomo con una giacca di colore chiaro si avvicina a Liliana, che ancora indossa il suo cappotto. La invita a ballare. Lei lo guarda a malapena.
"No, non ne ho voglia".
"Perché?"
"Non ne ho voglia", dice lei in modo sprezzante.
"Sei diversa stasera".
Ora vediamo Liliana in un altro tempo e luogo.
Giovanni le dice: "Guarda, se non ci vado io, ce ne sono subito pronti altri dieci".
Lui continua: "Sei tu che hai strane idee in testa".
E poi all'improvviso, siamo di nuovo alla sala da ballo. La macchina da presa segue lui e l'altra donna. Girano e girano sulla pista da ballo sulla stessa melodia, che non è ancora finita.
E poi siamo di nuovo nella fabbrica. Giovanni è in piedi nell’ufficio mentre un uomo gli dice: "Circa un anno e mezzo in Sicilia".
L'uomo con gli occhiali aggiunge: "Dobbiamo montare un nuovo reparto e abbiamo bisogno di operai specializzati".
Il primo uomo dice: "Scusi, signore, guardi che lui al momento non è qualificato però".
Il capo risponde: "Non importa. Lo passiamo come specializzato".
La coppia è di nuovo sola. Giovanni dice: "Una volta nella vita, a un povero disgraziato come me gli capita l’occasione buona per andare avanti, e lei si mette subito a lagnare".
Nuovamente nella sala da ballo, vediamo che Liliana non si è mossa, le sue mani ancora sulla borsetta in grembo. Seduto ora accanto a lei, l'uomo che l'ha invitata a ballare sta fumando una sigaretta. Guardano le coppie che volteggiano davanti a loro.
Alla fine, la canzone termina. Ma Giovanni si sofferma sulla pista da ballo, parlando con l'altra donna. Liliana li fissa.
Giovanni guarda Liliana. Lei prende una decisione.
Mette la sua borsetta sul tavolo, si toglie il cappotto e dice all'uomo seduto con lei: "Andiamo a ballare”.
Giovanni torna a un tavolo vuoto. Si siede, tira fuori una sigaretta e l'accende, guardando i ballerini.
Di nuovo in ufficio, il capo chiede a Giovanni: "Lei è sposato?"
"No".
"È meglio così. Meno complicazioni. Sa com'è con i trasferimenti", ride.
Vediamo un’inquadratura breve di Giovanni a casa. Suo padre è seduto al tavolo.
Un dipendente della casa di riposo che indossa un berretto chiede: "Quanti anni ha?"
"Settanta compiuti".
"Sono trattati bene. Non possono lamentarsi", commenta l’uomo.
Vediamo uomini anziani in in una casa di riposo, mentre l’uomo continua: "L'unico problema è la malinconia. Si sentono abbandonati..."
"...e se non si abituano, dopo un po', va a finire che muoiono con il magone".
"È un parente?"
"No, è..." Giovanni non vuole ammettere che abbandonerebbe suo padre.
Ma l'uomo indovina: "Il papà".
"Sì".
"Allora, se non si può fare a meno, bisogna rassegnarsi".
Tornati alla sala da ballo, Giovanni e Liliana stanno ballando insieme. Girano intorno. Ogni volta che la faccia di Liliana torna in vista, sembra più turbata. Sembra sul punto di piangere.
"Cosa c'è?" chiede Giovanni. Ma Liliana guarda solo in basso, la sua mano sulla sua spalla di lui in posizione di danza. Non dice niente.
Un aereo decolla; la musica ancora suona in sottofondo, accompagnando ogni aspetto delle vite dei nostri personaggi.
L'aereo atterra e vediamo Giovanni che sbircia fuori dal finestrino mentre esce dall'aereo. Si guarda intorno eccitato mentre sbarca. Giovanni è con il suo capo, il signor Tommasini, che cammina avanti, con sicurezza. Scendere da un aereo è qualcosa che senza dubbio ha fatto molte volte.
All'aeroporto c'è una folla in attesa. Alcuni dei nuovi arrivati sono accolti con baci e abbracci. Ma Giovanni e il suo capo passano silenziosamente.
Entrano nel terminal, dove un uomo in giacca e cravatta chiede: "Lei è l'ingegnere Tommasini?"
"Sì, sono io."
"Buonasera, sono il signor Lo Giudice. È un piacere incontrarla. Il signor Malpiani si scusa che non è potuto venire".
Giovanni rimane in silenzio. Non è stato presentato o nemmeno riconosciuto. È un estraneo, senza importanza.
I tre uomini si avvicinano alla macchina. Giovanni si siede davanti con l'autista. Non ha detto una parola da quando sono sbarcati.
Abbassa il suo finestrino. È la seconda volta che lo vediamo imporsi: la prima era stata quando, rifiutato da Liliana, ha chiesto ad un'altra donna di ballare. In risposta Liliana ha ballato con un altro uomo. Questa volta l'autista, dicendo, "Mi scusi", si sporge per rialzare il finestrino. Dall'esterno della macchina vediamo il profilo appena percepibile del vetro mentre sale.
"È da molto che è con noi, ingegnere?" chiede il capo al signor Lo Giudice.
"Tre o quattro mesi".
"Dove si è laureato?"
"A Roma".
Quindi il signor Lo Giudice si è appena laureato e non lavora da molto tempo.
Mentre i due uomini sul sedile posteriore della macchina chiacchierano, Giovanni e l'autista tacciono. Giovanni nota il paesaggio circostante. Lungo la strada ci sono rovine, case e piante. Un segnale stradale accanto a una vecchia casa fa presagire quello che avverrà dopo.
Improvvisamente un carro trainato da cavalli entra in strada e il nostro autista suona il clacson. Si lamenta dei pericoli della strada locale e poi del ciclista che gli ha tagliato la strada quella mattina.
Mentre l'autista si lamenta: "Ho quasi colpito un muro”, veniamo riportati a Giovanni e ai suoi pensieri su Liliana. Sulla colonna sonora delle lamentele dell’autista, vediamo Giovanni che la saluta dalla sua moto. Poi un’inquadratura di Giovanni che sale su una macchina mentre suo padre guarda dal balcone. E infine di nuovo Liliana, che rifiuta il bacio di addio di Giovanni; lei semplicemente se ne va.
"Guardi là. Vede quelle luci?" – dice il capo, indicando fuori dal finestrino – "Sono i nostri impianti." La musica fuori campo ora è un leggero jazz.
Una volta arrivati, il capo dice al Sig. Lo Giudice: "Forse più tardi possiamo chiamare Moranzi".
"Non credo che riusciremo a trovarlo. Lui sta facendo le sue cose". Il capo e Giovanni saranno da soli.
Il signor Lo Giudice li lascia. Vive in città con la sua famiglia.
L'addetta alla reception saluta calorosamente il capo. Gli fa sapere che non ci sono messaggi per lui. Lui richiede una stanza per il Sig. Cabrini – Giovanni – che rimarrà solo pochi giorni.
Il capo manda via Giovanni per sistemarsi. Mentre sale di sopra, sentiamo la donna dire al capo che Giovanni può restare solo per quattro giorni al massimo; lei ha una prenotazione per la sua stanza. Ma l’uomo risponde che non dovrebbe essere un problema.
Giovanni arriva nella sua stanza, una delle tante alla fine di un lungo corridoio. Entra, si toglie il cappotto e si guarda intorno: è un freddo spazio impersonale.
Va in bagno e organizza le sue cose. Si pettina, guardando il suo riflesso nello specchio.
E torna di sotto. Alla reception, non c'è nessuno che si prenda cura di lui, così lascia solo la chiave sul bancone.
Giovanni entra in un ristorante, si trova un tavolo e si siede. C'è solo un altro tavolo occupato, tre uomini vestiti con abiti casual. Giovanni indossa ancora giacca e cravatta.
Aspetta, poi apre il tovagliolo, se lo mette in grembo e aspetta ancora. Alla fine arriva il cameriere. A quanto pare la cucina sta chiudendo. Giovanni può avere zuppa o spaghetti; questo è tutto. “Non importa”, risponde Giovanni. Il cameriere lo lascia per consegnare l'ordine e Giovanni è di nuovo solo, la sua espressione è vuota.
Entra un altro uomo, accolto da una voce dalla cucina: "Arriva a quest'ora? Si lavora troppo, Signor ingegnere!" È il cuoco, che si affaccia dalla cucina per salutare il nuovo cliente. Giovanni lancia un'occhiata, ma l'uomo ha aperto il suo giornale. Non sembra che stasera si farà un nuovo amico.
Il cameriere porta il cibo e una brocca d'acqua. Quindi inizia a confidarsi con Giovanni. Sembra percepire che sono entrambi estranei a quel contesto. Il cameriere dice a Giovanni quanto sia duro il suo lavoro. Sono solo lui e il cuoco che servono cento persone ogni giorno, cena e anche pranzo. Poi quando torna a casa, deve fare lo stesso per sé stesso, perché sua moglie non c'è. È all'ospedale con il loro bambino, che è molto malato.
Fino a questo momento Giovanni ha ascoltato senza apparente interesse, spolverando il parmigiano sul suo piatto. Ma quando l'uomo menziona suo figlio, Giovanni alza lo sguardo. Sono passati due mesi e ancora non sanno cosa c'è che non va.
"Sente dolore?"
“Come si fa a saperlo?” – risponde il cameriere – “Ha solo pochi mesi”. Ad una chiamata dal cuoco, si allontana, lasciando Giovanni alla sua cena solitaria.
Il nostro nuovo arrivato entra in una stanza comune dell'hotel, dove una decina di uomini sono seduti nell'oscurità. Sentiamo musica jazz, potrebbero guardare un film o un programma televisivo; almeno uno di loro sta dormendo.
Giovanni si siede, fuma una sigaretta e si guarda intorno.
Un uomo in giacca e cravatta entra e mette la mano sulla spalla di Giovanni.
"Buona sera" – dice – "Stia comodo. Il signor Tommasini mi ha chiesto di dirle che domani mattina lei deve presentarsi all'impianto e chiedere di Bertinotti".
Mentre l'uomo se ne va, Giovanni si gira e lo guarda.
Il programma finisce, tutti si alzano e lasciano la stanza, uno per uno – tutti tranne l'uomo che dorme, nessuno si preoccupa di svegliarlo. Questi uomini sono estranei tra di loro.
Al bancone ogni ospite chiede la sua chiave. Alcuni chiedono la sveglia. Questo sembra essere un rituale serale. Giovanni chiede istruzioni per arrivare all'impianto il giorno dopo e l'addetta gli comunica l'orario degli autobus.
Una volta in camera Giovanni si mette nel suo letto stretto, spegne la luce e tira su le coperte. Ma non riesce a dormire. Sente una specie di ronzio o battito. In realtà sembra il rumore di una fabbrica.
Alla finestra apre la tenda e guardando fuori rivede nella sua mente la sua conversazione con Liliana: "Se non ci vado io, ce ne sono subito pronti altri dieci. E poi mi passano specializzato".
Ora lo vediamo mentre parla con Liliana. Solo che non può davvero essere chiamata una conversazione, perché lui è l'unico a parlare. La guarda ma lei sta guardando altrove, in lontananza. "Di cosa hai paura?" – le chiede – "Pensi che io stia per scomparire?" Lei abbassa lo sguardo e non risponde.
Nell’hotel, Giovanni è uscito sul suo balcone. Osserva la strada buia e deserta, l'insegna al neon che dice Bar Torino, le luci in lontananza.
A quanto pare Giovanni ha rinunciato a dormire. Vestito in giacca e cravatta, scende lentamente le scale. Sentiamo il silenzioso clic, clic, clic delle sue scarpe contro il pavimento e il rumore senza fine della fabbrica. Va alla reception a lasciare la sua chiave ma non vedendo nessuno la tiene con sé e si dirige verso l'esterno.
Fuori, cammina verso il bar ed entra. Il posto è deserto, c’è solo una donna alla cassa e un ragazzo dietro il bancone. Tavoli e sedie sono allineati contro le pareti. Alcuni sono capovolti.
Giovanni va alla cassa.
Preparando il caffè di Giovanni, il barista lavora in modo spiccio. Deve compiere ogni passaggio centinaia di volte al giorno. Giovanni guarda impassibile. Il ragazzo serve il caffè, guarda brevemente Giovanni e poi continua con i suoi affari. Non è stata scambiata nemmeno una parola.
Giovanni beve il suo caffè al banco. La cassiera fuma e legge qualcosa, non sappiamo cosa. Il barista è occupato, occupato, occupato. Tre persone nello stesso spazio ma su tre orbite separate.
Improvvisamente la porta dietro la cassiera si apre e il ragazzo si precipita fuori. "Buona notte!"
È mattina nella stanza di Giovanni. Un ronzio lo sveglia. Salta giù dal letto e corre verso la porta. "Chi è?" Allora apre la porta e guarda su e giù per il corridoio. Tutto quello che vede è la cameriera che lava il pavimento. Il suono proviene dal telefono: è la sua sveglia.
Va in bagno, guarda nello specchio e sbadiglia. Il suo pigiama sembra nuovo. L’ha comprato apposta per la Sicilia?
Guardando fuori dalla finestra del bagno vede una strana combinazione di campagna e industria.
C'è una bella casa con un giardino e degli alberi. Vecchie gomme di auto sono sparpagliate sul terreno.
Giovanni scruta il nuovo mondo che lo circonda.
Arriva l'autobus e Giovanni sale a bordo insieme a una fila di altri uomini, ognuno in giacca e cravatta.
Mentre l'autobus attraversa il paese, vediamo alcuni momenti del viaggio. Un uomo su una gru a cestello ripara una luce. Dei ragazzi corrono per la strada. Un cane passeggia vicino.
Per tutto il lungo viaggio Giovanni è passivo e silenzioso, come sempre. Guarda fuori dal finestrino e osserva.
L'autobus arriva e gli uomini scendono silenziosamente. Giovanni scende dall'autobus portando la sua valigetta. Chiede dove trovare il signor Bertinotti e qualcuno gli indica il primo piano. Guardiamo questa scena attraverso delle sbarre che sembrano confinare gli uomini mentre entrano nell'edificio.
Al primo piano chiede nuovamente del signor Bertinotti e gli viene detto di sedersi. Dall’altoparlante una voce femminile fa una serie di annunci.
A quanto pare il signor Bertinotti è occupato. La segretaria gli dà alcuni documenti.
Quindi con altri uomini, Giovanni fa un giro dell’impianto su un bulldozer. Osserva l'enormità del suo nuovo ambiente.
Passano accanto ad attrezzature, strutture, tubi e vedono le attività che l'impresa richiede.
In un deposito di rifornimenti in spiaggia i materiali da costruzione sono in attesa di essere installati. Gli uomini lavorano su diversi livelli della struttura in una scenografia che non avrebbe potuto essere composta in modo più bello.
In un primo piano vediamo una serie di lavoratori: uno salda; un altro accanto a lui si copre gli occhi con la mano, proteggendoli dalle scintille. Un uomo beve acqua da un grosso bidone di plastica. Un altro saldatore è al lavoro con una visiera protettiva. Un altro indossa solo occhiali protettivi.
Giovanni sta saldando. Rimuove la maschera di saldatura e strizza gli occhi appena la luce del sole lo colpisce improvvisamente.
Una sirena annuncia che un'ambulanza sta entrando nella fabbrica.
Appena l'ambulanza si ferma, i lavoratori corrono verso di essa da tutte le direzioni.
Guardiamo da una distanza di sicurezza mentre due uomini corrono fuori da una struttura portandone un terzo, che è stato ferito. Un dottore gli corre incontro. Una folla di lavoratori si raduna rapidamente attorno all'ambulanza, parlando a voce alta.
Quindi l'ambulanza si allontana e gli operai tornano ai loro posti.
“È la cultura siciliana” – qualcuno dice a Giovanni – "Non indossano la maschera da saldatore. Hanno lavorato così per troppi anni. I primi tempi, quando pioveva, non venivano a lavorare".
"Ma no, stai scherzando!" commenta Giovanni.
"Qui quando piove si ferma tutto. Non hanno una mentalità industriale e non c'è niente da fare”.
Giovanni suggerisce: "Forse con le nuove generazioni..."
FINE PARTE I
Here is the link for Parte II of this fotoracconto. Vertigo grammar exercises are posted at the bottom of it.
GLOSSARIO
accolti (accogliere) – welcomed, greeted (past participle)
l'addetta (o/a/i/e) alla reception – the front desk attendant
si affaccia (affacciarsi) – he leans out
allineati (allineare) – lined up (past participle as adjective)
l’altoparlante (e/i) – the loudspeaker
anziani (o/a/i/e) – elderly people, old men
apposta – especially, on purpose
atterra (atterrare) – it lands
in attesa – waiting
attraversa (attraversare) – he walks across
l'attrezzatura (a/e) – the equipment
un bagliore (e/i) di luce – a flash of light
il bancone (e/i) – the counter
battito (o/i) – banging
un berretto (o/i) – a cap
un bidone (e/i) – a jug
la borsetta (a/e) – the pocketbook, purse
una brocca (a/e) – a pitcher
capovolti (capovolgere) – upside down (past participle as adjective)
un carro (o/i) trainato (o/i) da cavalli (o/i) – a horse-drawn wagon
cartellini (o/i) – timecards
la casa (a/e) di riposo – the rest home
la cassa (a/e) – the cash register
la cassiera (e/a/i/e) – the cashier
circostante (e/i) – surrounding
il clacson (no change) – (automotive) horn
la colonna (a/e) sonora (a/e) – the soundtrack
compiere – to carry out, perform
compiuti (compiere) – completed (often used for age) (past participle)
convocato (convocare) – summoned (past participle)
la copertura (a/e) – the cover
coppie (a/e) – couples
un corridoio (oio/oi) – a corridor, hallway
così – then, so
il cuoco (co/chi) – the cook
decolla (decollare) – it [airplane] takes off
un deposito (o/i) di rifornimenti – a supply depot
un dipendente (e/i) – an employee
si stanno dirigendo (dirigersi) – they are heading
con disinvoltura – purposefully
un estraneo (eo/ea/ei/ee) – an outsider
una fabbrica (ca/che) – a factory
file (a/e) – rows
il finestrino (o/i) – window (of a vehicle)
una fisarmonica (ca/che) – an accordion
un fischio (io/i) – a whistle
una folla (a/e) – a crowd
fuori campo – offscreen
gesti (o/i) – gestures, motions
giacca e cravatta – suit and tie
gomme (a/e) di auto (no change) – car tires
grembo (o/i) – lap
grigliate (grigliare) – grilled (windows) (past participle as adjective)
una gru (no change) a cestello – a cherry-picker (crane)
l’impianto (o/i) – the plant, factory
imporsi – assert oneself
un indizio (io/i) – a clue
l’inquadratura (a/e) – the (cinematic) shot
l'insegna (a/e) al neon – the neon sign
lagnare – to whine
lancia (lanciare) un'occhiata (a/e) – he glances
la macchina (a/e) da presa– the movie camera
il magone – the sadness
a malapena – barely
ai margini (e/i) – at the periphery
la maschera (a/e) da saldatore – the safety mask
in modo (o/i) spiccio (io/i) – briskly
non si è mossa (muovere) – she hasn’t moved (past participle)
gli occhiali protettivi – the safety goggles
un operaio (io/i) – a worker
le pareti (e/i) – the walls
percepire – to sense [something]
si pettina (pettinarsi) – he combs his hair
piante (a/e) – shrubbery, plants
la pista (a/e) da ballo – the dance floor
la polvere – the powder
un portello (o/i) – a hatch
si precipita (precipitarsi) – he dashes, rushes
primo (o/i) piano (o/i) – close-up
sul punto di – at the point of, about to
non si può (potere) fare a meno – there is no other choice
raccogliere – to summon, gather
si raduna (radunarsi) – they gather around
rassegnarsi – to resign oneself, to accept
un reparto (o/i) – a department
ha rinunciato (rinunciare) – he gave up
si risiede (risedersi) – he sits back down
ronzio (io/ii) – humming (noun)
rotondi (o/a/i/e) – round
rovine (a/e) – ruins
salda (saldare) – he welds
sale (salire) a bordo – he boards (for transportation)
sbadiglia (sbadigliare) – he yawns
sbarca (sbarcare) – he disembarks
sbircia (sbirciare) – he peers, peeks
una scala (a/e) a pioli – a ladder
una scatola (a/e) – a box
le scintille (a/e) – the sparks
scruta (scrutare) – he inspects, examines
un segnale (e/i) stradale (e/i) – a road sign
segnerà (segnare) – it will mark
segue (seguire) – it tracks, follows
sistemarsi – to get settled, organized
il soprabito (o/i) – the overcoat
sottofondo – background
spacchetta (spacchettare) – he unpacks
sparge (spargere) – he scatters
sparsi (spargere) – scattered (past participle)
spolverando (spolverare) – sprinkling
si sporge (sporgersi) – he leans over
sprezzante (e/i) – dismissive
strizza (strizzare) – he squints
la sveglia (ia/ie) – the wake-up call
tacciono (tacere) – they keep quiet
ha tagliato (tagliare) la strada – he cut (him) off (in the street)
il tovagliolo (o/i) – the napkin
tranne – except
turbata (turbare) – upset, disturbed (past participle as adjective)
vacua (o/a/i/e) – vacant
la valigetta (a/e) – the briefcase
una visiera (a/e) protettiva (a/e) – a protective/safety visor
volteggiano (volteggiare) – they twirl