Regia: Roberto Rossellini, 1945
Pina torna nell'appartamento di Francesco, dove Manfredi la aspetta. Su richiesta di lui, ha mandato il figlio a prendere il parroco.
"È andato. Don Pietro sarà qui fra poco".
"Grazie”.
Sulla finestra dietro Manfredi, vediamo strisce incrociate di nastro adesivo bianco che sono state applicate per proteggere il vetro durante i bombardamenti. Mentre piega una pila di vestiti, Pina dice a Manfredi: "Stamattina abbiamo assaltato un forno".
"Ah, sì?"
Lei fa una risatina. "È il secondo della settimana”.
"Come vanno le donne?" chiede lui.
Lei spalanca le braccia, alzando le spalle. "Qualcuna lo sa perché lo fa, ma la maggior parte arraffano più sfilatini che possono". Con le mani sui fianchi, scuote la testa. "Qualcuna stamattina si è fregata un paio di scarpe e una bilancia!"
In tutta questa scena la Magnani* usa la sua voce, il suo viso e tutto il suo corpo per esprimere un'ampia gamma di emozioni.
*Questo è il modo degli italiani di riferirsi alle loro grandi star femminili del cinema e ad altre celebrità. (Ci sono anche usi regionali: al nord è usato per riferirsi a qualsiasi donna conosciuta; per esempio, in Lombardia e in Veneto è usato anche per i maschi, con ‘il’.)
Da un'altra stanza, sentiamo una voce rumorosa: "Io vorrei sapere chi si è fregata le calze mie!” Entrambi si girano a guardare. Dietro Manfredi vediamo una mappa del Lazio, la regione di cui Roma è la città principale.
"Scusi tanto", dice Pina, aprendo le braccia ancora una volta.
Una giovane donna – la sorella di Pina, Lauretta (Carla Rovere) – entra, ancora parlando. Quando vede il visitatore, esclama: "Oh, Ingegnere!"
"Buongiorno!"
"Buon giorno! Come mai qui? È venuto a cercare me?”
Pina guarda, sembra confusa.
"Sì, sì" – dice – "Appunto..."
*Come abbiamo visto in questo film, in Italia, le persone sono spesso indicate con i loro titoli professionali (come ingegnere e architetto) e – come in questo caso – anche chiamate direttamente in questo modo.
Pina spiega: "Ho incontrato il signore per le scale e l'ho fatto entrare qui. Ho pensato che –"
"Me lo potevi dire subito!"
Le sorelle cominciano a bisticciare.
Ma quando Manfredi comincia a parlare, rivolgono la loro attenzione a lui. "No, non importa" – dice lui – "Volevo soltanto chiederle un favore”.
Lauretta dice che andrà a cambiarsi – ha i capelli legati con i bigodini di stoffa – ma Manfredi la interrompe: "No va benissimo così". Scusandosi con Pina, prende Lauretta per un braccio e la porta in disparte.
Pina guarda cautamente, con le mani incrociate sulla pancia. Nell'immagine, i rettangoli di un paravento la tengono saldamente in posizione.
"Senta, Lauretta lei vede Marina, vero?" chiede lui.
"Sì, dopo pranzo, al teatro".
"Le dica per favore che io per qualche giorno non potrò vederla. Se mi sarà possibile telefonerò".
"Va bene. E niente altro?"
"No, nient'altro”.
“Arrivederci, Ingegnere, e mi scusi!” Si stringono la mano e lei lascia la stanza.
"Abita con lei quella?" chiede Manfredi a Pina.
"È mia sorella".
"Ah, sua sorella!"
“Si meraviglia lei, eh? Chissà quante bugie le avrà raccontato, che abita chissà dove… Si vergogna di noi perché dice che fa l'artista e noi siamo poveri operai”. Mentre parla Pina raccoglie i vestiti, mettendo in ordine la stanza.
"Ah-ah".
"Io non farei cambio con lei", gli assicura Pina.
"Ah, lo capisco".
"Mica perché è cattiva. È stupida", dice, alzando lesopracciglia.
Attraversa la stanza per appendere dei vestiti. "Ma... lei come la conosce Lauretta?" All'inizio lui non risponde, così lei si scusa: "Scusi tanto. Sono indiscreta".
“No! Lauretta è molto amica di una ragazza che io conosco”.
“Chi, Marina?”
“Ah, la conosce?”
“Oh… Da quando è nata!” Pina risponde con un sorriso. “La madre faceva la portiera in via Tiburtina, dove mio padre aveva un negozio da stagnaio. Lei e Lauretta si può dire che sono cresciute insieme”.
“Ma” – aggiunge – “Mi raccomando non dica niente a Marina di quello che le ho detto, mi raccomando proprio!”
“Non dubiti. E poi io non la vedrò più”.
“E perché?”
“Non so perché ma sento che è una cosa che deve finire” – Manfredi guarda in basso, accigliato – “Del resto, è durata anche troppo”.
“La conosce da molto tempo?”
“Sì, da quattro mesi. Io ero appena arrivato a Roma. Lei veniva a mangiare in una piccola trattoria vicino a piazza di Spagna. Un giorno hanno dato l'allarme e tutti sono scappati. Siamo rimasti soli. Lei rideva. Non aveva paura”.
“E si è innamorato…” indovina Pina con un sorriso.
“Già. Succede”.
“Ah, succede”, concorda lei, annuendo, mentre lui accende una sigaretta.
“Ma non è una donna per me”, dice. Si alza in piedi e si dirige verso la finestra incollata. “Forse, l'avessi conosciuta prima, quando era a via Tiburtina”, riflette lui.
“Beh, che c’entra? Una donna può cambiare, soprattutto quando è innamorata”.
Lui si volta verso Pina. "Chi le dice che sia innamorata?" le chiede bruscamente.
"Perché non dovrebbe esserlo?" Poi si rende conto di qualcosa. "Dio mio!" – esclama, stringendo le mani insieme – "Non le ho chiesto nemmeno se vuole un caffè! Lo vuole?"
"No, non si disturbi!"
“Ma per carità, un momento, subito faccio!” Si dirige verso la porta.“Guardi: è caffè per modo di dire, eh?”
Nel cortile della chiesa è in corso una partita di calcio molto caotica. Mentre i bambini si spingono e si urtano proiettando a terra delle ombre nere.
Nella sua lunga tonaca, Don Pietro (Aldo Fabrizi) corre avanti e indietro con i bambini. Sopra le loro urla e le loro incitazioni, sbotta: "Non gridate! Cos’è questa confusione?!”
Perdendo finalmente la pazienza, soffia forte nel suo fischietto, e i bambini si radunano intorno a lui. Si rivolge a uno di loro. "Ti ho detto tante volte che non devi fare il gioco pesante!”
Mentre parla a uno di loro, un altro calcia la palla, forte, in aria. Un altro ragazzo urla: "Attento, Don Pietro!” Ovviamente, la palla colpisce il prete proprio in testa.
Lui fa una smorfia, ma non ci sono danni. I bambini ridono e riprendono la loro partita. È allora che Marcello, il figlio di Pina, arriva di corsa, con una sciarpa legata al collo.
Educatamente, si tolgono entrambi il cappello. "Ah, sei tu", dice don Pietro. “È un miracolo vederti all'oratorio”.
“Ci sono venuto perché mi ha mandato mia madre”.
“Ha fatto bene. Farà bene anche a te”.
Ma ha capito male. Mette la mano sul collo del ragazzo per condurlo con sé, ma Marcello lo ferma. “Don Pietro mi faccia finire di parlare”.
Si guardano, nel bel mezzo del tumulto della partita di calcio. Il ragazzo guarda seriamente il prete dal basso verso l’alto. “Dice che deve venire subito a casa nostra. È una cosa importante”.
Don Pietro lo osserva dubbiosamente attraverso i suoi occhiali con la montatura a filo. “Cosa?”
“Io non lo so. Mia madre ha fatto la misteriosa. Ma ci deve essere qualcuno a casa di Francesco”.
"Va bene. Andiamo”. Poggia la mano sulla nuca del ragazzo e iniziano a camminare. Ma prima di andarsene, il prete fischia di nuovo.
I bambini si riuniscono intorno. Don Pietro chiama uno dei ragazzi più grandi: "Gilberto, senti. Adesso verrà Agostino”. Gli consegna il fischietto. “Tu dirigi il gioco”. E aggiunge, puntando il dito: “Mi raccomando non fate i cattivi”.
Allunga la mano verso Marcello, ma il ragazzo se ne va di corsa. "Vieni qua", dice il prete con fermezza, ma senza ostilità. "Possibile che devi scappare sempre?"
Lasciano il cortile insieme ed entrano in chiesa. Passando davanti all'altare, si genuflettono e si fanno il segno della croce – prima il prete, poi il bambino. Poi risalgono la navata, Marcello con il cappello in mano.
Passando la fonte dell'acqua santa all'uscita, immergono le dita e si benedicono ancora una volta, a turno. Una fedele anziana entra e incrocia il loro cammino, ma Don Pietro non si ferma a parlare con lei.
Marcello e Don Pietro lasciano la sicurezza della chiesa e si avventurano per le strade di Roma, che è, per ordine del suo Governo, una città aperta: non si difenderà dall'occupazione straniera, per evitare perdite di vite umane e danni alle proprietà. Ma, in realtà, è una città sotto assedio.
Dopo che se ne sono andati, la macchina da presa si sofferma un attimo sulla cupa calma e sulla quiete dell'antica chiesa.
FINE PARTE IV
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GLOSSARIO
accigliato (accigliare) – frowning (past participle as adjective)
alzando (alzare) le spalle – she shrugs
annuendo (annuire) – nodding
antica (co/ca/chi/che) – ancient
arraffano (arraffare) – they grab
assedio (io/i) – siege
i bigodini (bigodino) di stoffa – the rag curlers
una bilancia (cia/ce) – a scale
bisticciare – to bicker
calcio – soccer
cautamente – warily
colpisce (colpire) – it hits
consegna (consegnare) – he hands over
di corsa – running
in corso – underway, in progress
il cortile (e/i) – the courtyard
cupa – somber
danni (o/i) – damages
disparte – aside
c’entra (ci + entrare) – to have to do with
una fedele (e/i) – a congregant, worshiper
il fischietto (o/i) – the whistle
si è fregata (fregarsi) – it was filched (slang) (past participle)
immergono (immergere) – they dip
le incitazioni (e/i) – the cheering
intorno – around
la montatura (a/e) a filo – the wire frame
nastro (o/i) adesivo (o/i) – tape
la navata (a/e) – the aisle
la nuca (ca/che) – the nape
un paravento (o/i) – a screen
il parroco (co/ci) – the parish
piega (piegare) – she folds
poggia (poggiare) – he clasps
si radunano (radunarsi) – they gather
del resto – anyway, besides
riprendono (riprendere) – they resume
risalgono (risalire) – they walk up
si riuniscono (riunirsi) – they gather
rivolgono (rivolgere) – they turn
sbotta (sbottare) – he shouts, snaps
sfilatini (o/i) – Italian white bread
una smorfia (ia/ie) – a wince
si sofferma (soffermarsi) – it lingers
soffia (soffiare) – he blows
le sopracciglia (io/ia) – the eyebrows
spalanca (spalancare) – she opens [something] wide
si spingono (spingersi) – they push
stagnaio (io/i) – tinsmith
stringendo (stringere) le mani (o/i) – shaking hands
strisce (ia/e) incrociate (a/e) – crisscrossing
la tonaca (ca/che) – the robe
si urtano (urtarsi) – they shove